mercoledì 31 ottobre 2007

L'ultimo Temporale




Rondelle è orgolioso di ospitare il racconto di un'amica
Autrice di poesie, lettrice assidua del nostro blog e Blogger lei stessa.
Copritevi, perchè questo raccondo, da i brividi.


Erano passate da poco le tre del mattino, quando il mio placido sonno fu svegliato da una continua luce a distanza, intermittente.
La notte, buia per natura, non riusciva a darsi pace.
Uno, due, tre, quattro lampi di vita propria, uno dietro l’altro scambiavano opinioni violente con tuoni assordanti.
La paura incombeva sul mondo ostile e sulla mia anima fragile.
Una sensazione di ansia e di terrore lottava all’interno del mio corpo.
Nonostante l’aria perennemente fresca ed il forte oscillare di rami scuri che somigliavano ad un enorme ventaglio pronto a non fermarsi più, io, ritirata sotto le candide lenzuola, stavo sudando.
Il caldo attanagliava il mio spirito e l’afa gonfiava di aria torrida i miei poveri polmoni.
Era come se l’elettricità dell’aria toccasse costantemente il mio corpo inerme provocandomi lievi ma continue scosse elettriche.
Le mie gambe tremavano e il mio animo sussultava al ritmo di quella pioggia scrosciante.
I miei occhi tamburellavano da una parete all’altra della camera da letto che come in un incubo senza fine, si rimpiccioliva sempre di più.
I muri mi stavano soffocando restringendosi al minimo indispensabile.
Feci l’unica cosa sensata che il mio spirito mi suggerì. Arrancando fuori dalla stanza come un’anima in pena mi precipitai sul corridoio della morte.
Come se lo avessi fatto da sempre, afferrai al volo la mia Nikon N80 che sonnecchiava appesa alla maniglia della porta.
Il suo obbiettivo puntava dritto al mio cuore, come pronto a spararmi un colpo da un momento all’altro.
Il mio sguardo, come ipnotizzato, si fermò davanti alla porta finestra della sala da pranzo.
Immobile ascoltavo i battiti irregolari del mio cuore in gola.
Ignara di quello che da li a poco sarebbe successo, spalancai la finestra davanti a me, come se una forza innaturale, ben più possente di me, mi obbligasse ad uscire in quella tempesta.
Afferrai d’impulso un maglione e me lo infilai.
L’aria frizzante mi regalava brividi in tutto il corpo nonostante quell’ammasso di lana di quattro misure più grande di me, mi coprisse fino alle ginocchia.
Solo in quel momento mi accorsi di essere scalza.
Poi d’improvviso, la mia vista si annebbiò, solo per un istante, e il mio equilibrio si abbandonò al forte oscillare del vento.
Non avevo mai assistito ad una tempesta del genere, un susseguirsi di tuoni e lampi cosi volgari da risultare irriconoscibili.
In lontananza,oltre al continuo scrosciare di quella pioggia acida, si sentivano solo le sirene delle ambulanze e dei pompieri che si facevano via via più vicine, portando con se negatività e brutti presagi.
L’ansia si faceva più potente all’avvicinarsi delle sirene.
Il mio fisico, come impietrito, era ancora fermo sulla soglia del terrazzo come se stessi aspettando che una forza alle mie spalle mi buttasse in avanti verso l’inferno più cupo. Solo le saette, una dopo l’altra, mi riportarono alla realtà.
Mi accorsi di avere i piedi umidi di pioggia, la quale, arrivando quasi orizzontalmente, sembrava voler entrare in casa.
In meno di un secondo mi spinsi verso l’esterno e chiusi la finestra alle mie spalle.
Il tempo si placò per un istante e subito si fece giorno.
Una luce, proveniente dall’alto, quasi mi accecò, costringendomi a chiudere gli occhi.
Il rombo di un tuono senza precedenti mi riportò sulla terra e mi fece sussultare come al risveglio da un incubo.
In lontananza, voci spensierate di giovani, echeggiavano sulla notte, ritrovandosi, senza rendersene conto, al centro dell’ultima bufera.
Scongiurarono la fine dell’accaduto imprecando contro qualcuno di immensamente più grande di loro, senza rendersi conto che stavano solo peggiorando le cose.
In un attimo il cielo venne squartato in due e le ignare figure scomparvero dietro casa mia.
Urla, boati e saette giocavano a chi faceva più baccano. Come seduti in un cerchio immaginario, danzavano al ritmo del loro stesso suono.
Io impietrita, mentre loro, beffardi, ballavano un tango.
Alla vista di tutto questo orrore non riuscivo a muovere un passo.
Senza rendermene conto avevo persino smesso di respirare. Come se avessi paura di essere scoperta. Pura e semplice spettatrice di uno sfacelo ormai imminente.
Con le spalle radenti al muro, quasi giocando in un immaginario nascondino, raschiai tutta la parete sdrucciolevole fino all’angolo più esposto.
Volevo, dovevo arrivare al limite estremo di quel precario perimetro.
Come una forza indipendente dal mio spirito, sentivo il bisogno di controllare quello che stava accadendo tutto intorno a me.
La stazione si era trasformata nel girone dei dannati di Dante. I treni sfrecciavano sulle rotaie taglienti come se stessero scappando da un brutto sogno, inseguiti da saette più veloci della luce.
Non appena ebbi la certezza di ciò che i miei occhi stavano fissando, venni colta, all’improvviso, da un magnifico lampo violaceo.
Subito dopo, il tuono, fece tremare la terra sotto i miei piedi e in un istante che sembrò eterno, un’altra scossa mi trafisse il corpo.
Il mondo stava cercando di dirmi qualcosa. Il cielo, divenuto invernale, sfogliava un vocabolario onnipotente, cercando le giuste parole per farmi capire cosa stesse realmente succedendo.
Ero terrorizzata all’idea di scoprire in quella traduzione, qualcosa che mi sarebbe costata la vita.
Terrorizzata si, ma, allo stesso tempo, determinata e dannatamente curiosa.
Tutto ha un prezzo, anche il Sapere. Sarei stata pronta a morire per impadronirmene?
Volevo davvero immortalare un mondo così angusto?
Ero pronta a toccare una cosa così grande?
Ero davvero io la prescelta?
Questa volta il lampo fui io.
Presi tra le mani la Nikon, che quasi avevo dimenticato di avere al collo, forse perché mi accorsi solo in quel momento che galleggiava senza gravità, come in una astronave dimenticata nell’immenso spazio stellato.
Con uno scatto felino, tolsi immediatamente il copri obbiettivo di plastica nera e lo feci scivolare sulla sedia a dondolo, che fino a quel momento avevo scordato di possedere.
Il tappo nero sparì tra le sue pieghe come se non volesse più appartenere alla macchina, come se aspettasse da tempo interminabile di essere sradicato da essa.
Con un movimento lento e sensuale mi portai la macchina all’occhio sinistro e premetti sul pulsante di accensione.
Il rumore di trascinamento della pellicola mi fece vibrare le mani e la vista, per un attimo mi si annebbiò.
Ebbi giusto il tempo di inquadrare un angolo di cielo e di mettere a fuoco la macchina, che, in un battere di ciglia, il cielo si schiarì come mai prima.
Fu come se la pioggia si cristallizzasse in un fermo immagine.
E mentre ne cielo violaceo si combatteva una battaglia per la vita e per la morte, in quel preciso istante, un’enorme saetta carica d’odio e di passione sventrò il cielo come un bisturi sulla pelle di un paziente, poco prima di un’operazione mortale.
Nello stesso istante, come se fosse già stato programmato da una vita, il mio indice premette automaticamente il tasto dello scatto.
La mia macchina fotografica, che fino all’istante precedente stava cercando un punto luce di riferimento da mettere a fuoco, scattò nel momento esatto in cui il lampo colpì la casa affianco alla mia, provocandole un cortocircuito generale.
Lo scatto sembrava eterno come il fulmine che nei sui ultimi istanti di vita si consumò in un luccichio fluorescente quasi a voler morire in un fuoco d’artificio monocolore.
Le scintille che fuoriuscivano dal punto colpito, sembravano lapilli di un vulcano in eruzione.
La luce fu devastante al punto che dovetti chiudere gli occhi e indietreggiare, ma la luce ormai era passata.
Mi aveva penetrata come un meteorite penetra l’atmosfera terrestre.
Da lasciare senza fiato.
La rabbia e la violenza di quello shock elettrico incombevano su tutto al punto da poterne respirare il magnetismo.
Qualcosa stava andando a fuoco e non era solo la mia anima.
Sembrava una scossa di terremoto impazzita, che per un volere superiore a noi tutti, aveva optato per imbattersi non su di me, probabile vittima sacrificale, bensì su di un immobile poco distante.
L’allarme di una macchina vicina mi fece rinsavire così da non farmi perdere quel magico momento.
Il tuono, mi dissero più tardi, ebbe un suono cosi acerbo da lasciare l’amaro in bocca.
Io, sola e spaventata, tumultuosa ed eccitata non sentii nulla se non il rimbombante battere del mio cuore in un petto, così gonfio di emozioni da esplodere di li a poco.
Ignara avevo assistito a qualcosa che non molti hanno poi la fortuna di raccontare. Avevo immortalato con uno scatto un sogno impossibile da realizzare. Un secondo di vita che sarebbe dovuto essere un secondo di morte.
Quella saetta aveva frantumato ben più di un immobile sconosciuto. Era riuscita a frantumare la mia anima in particelle di elettricità permanente facendomi comprendere, molti anni più tardi di essere stata io la prescelta.
Sconvolta di tutto questo irreale trambusto non potei fare altro che tornare a dormire come se nulla fosse successo, come se nessuno avesse mai assistito a un qualcosa di così inspiegabile da non essere mai realmente accaduto.
Cosa accadde realmente quella notte mai nessuno lo seppe.
Ancora oggi si narra la vicenda di una notte senza fine dove una donna, divenuta la prescelta, assistette sbigottita ad un evento straordinario.
Si dice che abbia una prova, tenuta nascosta in uno scrigno d’altri tempi, di quello che ormai tutti conoscono come “l’ultimo temporale”.

Barbara Dylan

Creative Commons License
Questo/a opera è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.