Quanto più si avvicina la fine dell’anno, tanto più si avvicinano le conclusioni, la conclusione. Non dell’anno, quella è scontata, ma le conclusioni tirate, sconclusionate, quelle fatte per dare una ragione ad un anno senza senso. Il Pelouche era chiuso. Il Tristezza club era chiuso, ma per altri motivi. Era fallito. Che tristezza. In fondo era stato il primo pianobar nel quale avevo posato il mio culo curioso, assetato di alcol e di vita vissuta. Nel giro di qualche mese lo avrebbe sostituito una boutique d’antiquariato. Che palle! Alan era felice. Il tristezza club era il suo più acerrimo nemico. Dirimpettaio succhia-clienti, sulla tomba del quale, finalmente, poteva ballare al ritmo di Maracaibo. Non riusciva a capire, che la zona si stava lentamente desertificando e che la morte di un, seppur moribondo arbusto, non contribuiva all’abbondanza di nessuno. Credo che in cuor suo si augurasse la morte di ogni altro possibile concorrente, puntando silenziosamente ad un monopolio che, alla lunga, gli si sarebbe rivoltato contro.
Cazzi suoi.
Ultimamente una silenziosa clientela di qualità si era data alla macchia. Una minoranza stufa dei prezzi esagerati aveva iniziato a non farsi più vedere al Pelouche. Io ero uno di quelli. Uno di quelli: “di cui si poteva fare a meno”. Poco male, in fondo ho sempre amato il minimalismo, anche quando viene esercitato contro di me.
“tanto il locale è sempre pieno” diceva Alan.
Si, ma non della stessa gente.
L’intellighenzia non ne poteva più, non era per i prezzi, ma per la inesistente cura di chi aveva fatto la fortuna di quel locale: I clienti.
Più che clienti, protagonisti, che ora erano solo fredde voci di bilancio.
Al diavolo!
Una ristretta cerchia di idealisti, alle soglie della fine dell’anno, aveva trovato di meglio che piangere di fronte ad una serranda chiusa. Aveva preferito fare due passi al freddo e dare inizio ad una riunione sediziosa at “Piacioni’s” una tabaccheria d’angolo con cucina, l’equivalente di un angolo cottura dedito al tabacco, ma con licenza di fumare. Un angolo dedito all’alcol oltre che al fumo. Un angolo di strada decisamente vizioso, se visto con gli occhi della comune morale, ma una potenziale culla di idee rivoluzionarie.
Presenziavano all’evento, oltre a me, Miguel, esule cubano dagli occhi di ghiaccio che stemperavano un sangue bollente come rhum e Beto, fratello di sangue di Miguel, di qualche anno più giovane ma accomunato dalla torrida temperatura del flusso sanguigno.
Gente rara.
L’argomento di discussione era piuttosto spinoso: “le donne”.
Di fronte a dei mostri sacri del genere non si può che ascoltare e ringraziare Dio, l’universo o qualsiasi altro delegato, per aver permesso una simile serata.
Solo con persone simili ci si rendo conto di quanto poco si possa fare di fronte at un mistero come la femminilità. Età diverse, esperienze diverse, eppure una consapevolezza comune. Più successi si collezionano, più esperienze si inanellano e più ci si rende conto di quanto si sia esposti al caos.
Parlammo fino a tarda notte, fin quando quella bambola della cameriera, dalla coda alta e dall'accento incerto ci disse, che stavano chiudendo baracca e bamboline. Continuammo a speculare per la strada, a pontificare sui ponti di Madison County. Sul fascino dell'uomo venuto dal mistero, su appuntamenti al buio, futuri e passati. In fondo l'unica cosa che non sia buia è il presente. Non arrivammo ad un bivio, arrivammo ad un trivio ed ognumo andò per la sua strada. in fondo Brera sono quattro vie in croce, ma noi eravamo solo in tre.
L’unica soluzione? La NON soluzione. L’unico modo di risolvere il caos è riuscire a galleggiarci sopra, come una foglia morta, come un tronco d’albero, come uno stronzo.
mercoledì 31 dicembre 2008
A night at: "Piacioni's"
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Cronache da un Pianobar
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