domenica 25 febbraio 2007

Habituès

"Ormai era da un pò che li osservavo, erano il vero tessuto connettivo di ogni pianobar
Gli habitués". Sono in grado di capire al volo le situazioni più intricate ed equivoche che si creano all’interno del locale. Se ti hanno visto scambiare effusioni roventi ogni venerdì per due mesi di fila, con la stessa morettona.Appena ti vedono entrare con un altra, basta uno sguardo e loro entrano in modalità clandestinità. Ti salutano con gesti misurati, alzano un sopracciglio, muovono il mignolo della mano con la quale sbevazzano il loro drink preferito, i più radicali fanno finta di non conoscerti nemmeno. Un'indifferenza studiata, da veri professionisti (salvo poi sputtanarti all’orario di chiusura con una gaffe degna di Mike Bongiorno, forse non ti avevano visto davvero). Loro presumono (quindi sanno per certo) che la biondissima che ti porti a braccetto sia qualcuno di totalmente sconosciuto alla mora che ti stava abbarbicata la settimana prima e, dopo averti fatto capire con il loro personalissmo Body Language che hanno capito la situazione, e che sanno che tu sai che loro sanno, si eclissano sprofondando nelle loro sedute, diventano parte integrante dell’arredamento del locale confondendosi con il velluto rosso dei divanetti. Sembrano li da SEMPRE! I proprietari che si susseguono nella gestione li ereditano insieme all’impianto stereo e ai fornitori di superalcolici. Vivono il tempo in una maniera tutta loro, a dirla tutta vivono “fuori dal tempo”. E lo battono con il piede al ritmo dei loro ballabili preferiti, misurandone lo scorrere con tre semplici unità:

la più breve è il: DUE MINUTI

“Cazzo! Era qui DUE MINUTI fa, si vede che l’ha accompagnata a casa.”

oppure

“Ancora DUE MINUTI e facciamo una piccola pausa e poi
torneremo con l’ultima ora del Ppppelouche!”

ma anche

“Se aspetti DUE MINUTI finisce il pezzo, faccio pipì e poi ce
ne andiamo da questo posto di merda.”

l’unità di misura immediatamente superiore al DUE MINUTI è il FINESETTIMANA

“L’altro FINESETTIMANA, Alex non c’era, suonava ad un matrimonio, ha suonato un’altro,
ma era un po’ moscetto, poi aveva uno strano copricapo in testa, sembrava un centrino di pizzo”

L’espressione temporale più ampia invece abbraccia tutta la genealogia dei proprietari del locale,
presenti, passati e a volte futuri.

“Due proprietari fa, le pareti non erano mica decorate e i divanetti erano bianchi e azzurri, poi c’è stato un principio d’incendio e...”

“il Proprietario attuale, Alan, è una vecchia gloria della canzone Italiana, è stato anche a Sanremo, ma ti parlo di trent’anni fà, anche di più”

Si presentano spesso da soli ma hanno la tendenza ad aggregarsi spontaneamente creando piccole comunità dette “Tavoli”

“Dani, per favore, mi porti tre Burbon-GingerAle al tavolo Vip”
“Ehi, voi, si dico a voi la in fondo, tavolo Curva Sud, se avete delle richieste è giunto il momento”

Ma come in tutto, è d’obbligo non generalizzare, c’è Habituè e Habituè. Qui di seguito, una manciata di categorie, giusto per capire:

L’inconsapevole Clown.

di un’età indefinita tra i 55 e i 60 anni, ha un sorriso perenne stampato in viso e il parrucchino più posticcio mai visto prima. Ha un basso coefficiente di penetrazione del locale, cioè si ferma solitamente sulle scale in posizione strategica a due passi dalle tre cose più importanti del posto, il Bar, Il Pianista e l’uscita. Oltre non va, forse per timore di venire coinvolto in balli sfrenati, o semplicemente per paura di perdere gli occhiali dalla montatura rossa stile Ivan Graziani e di non riuscire più a tornare a casa.
Drink preferito: “un bel uiskino senza ghiaccio”

Amici degli amici del proprietario.

Lenti e opulenti, attorniati da bionde “nipoti” dell’est europeo. Atterrano nel locale più o meno a un quarto d’ora dalla chiusura, giusto un attimo dopo che il “Pianoman” ha staccato tutti i microfoni e riposto i suoi ammenicoli tecnologici nelle loro custodie. Al loro ingresso Il proprietario, ingoia la sigaretta e si precipita letteralmente giù dalle scale, prendendo al volo il microfono che gli viene lanciato. Dedica “agli Amici” due o tre dei suoi evergreen con sommo piacere del pianista che si immaginava già a letto tra le sue lenzuola di lino. Drink preferito: Bottiglione di Berlucchi ghiacciato, con coppe a volontà, il tutto, strano a dirsi, rigorosamente pagato all’usicta con buffetto “amicheovle” sulla guancia.

To be continued...


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martedì 20 febbraio 2007

EMOZIONI

Sensuali parole che danzano a ritmo di dolci note,
movimenti e sguardi che seguono il ritmo,
che non vogliono essere capiti
se non dalla persona alle quali sono dedicati.

L’atmosfera è magica,
parole non pronunciate
ma ugualmente intense di sentimento,
desiderio, passione, emozione.

Gli occhi si incrociano e l’intesa è perfetta,
le anime si abbandonano al piacere del momento,
al piacere del sapersi appartenere l’una all’altra,
al piacere che si donano.

L’incanto si fa padrone della realtà,
la realtà si fa padrona della vita,
la vita si fa padrona…..di cosa,
se poi tutto “deve” avere sempre una fine?

La vita è fatta di giorni che si susseguono inesorabili,
incuranti dei desideri,
sordi alle richieste,
incapaci di consolare,
trascorrono e basta!

Non esiste incanto che non sia degno di essere vissuto,
non esiste realtà che non sia degna di essere considerata un dono,
non esiste vita senza giorni…..tristi o felici che siano!

Le emozioni risvegliano i sensi,
la fortuna è quella di viverle!!!

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lunedì 19 febbraio 2007

Sono lurido

Sono lurido.
Mentre sprofondo nella poltrona di alcantara, o velluto, o cotone fine – non c’è abbastanza luce, non sono sicuro… faccio mica il tappezziere – di una cosa sono certo: sono sempre più lurido.
Sono lurido.
O meglio mi sento lurido.
Sono un evaso, un reietto, un lebbroso, un rifiuto umano, non cammino, striscio, mi aggrappo e mi trascino, non parlo, mugolo, grugnisco, sputo e mi nascondo, nessuno mi deve vedere adesso. Nessuno mi deve intercettare. Mi eclisso e sono invisibile… magari!
E invece sono lurido. Lurido e visibile.
E lei?
Lei è lì, immobile. Distesa sul mio letto, semi coperta dalle lenzuola di lino – sarà lino? Sì questo lo so… è lino! No, non faccio il tappezziere, le ho comprate io, due settimane fa… da allora non le ho mai cambiate – sospetto che lei non lo sospetti.
Ecco il segreto! Senza coscienza le cose sembrano migliori, lei immagina tutto candido, bellissimo. Anche me. Come se tutto fosse pulito, immacolato… anzi di più: scintillante!
Se non avessi la coscienza anche per me sarebbe tutto così. Lei poggia la testa sul cuscino che non è più lo scarto della cameretta vecchia di mia sorella, ma è il paffuto ornamento del pied-a-terre del Re Sole.
E poi dorme, sogna, sembra addirittura che sorrida, respira l’aria pura dei sogni, beve alla fonte immacolata della fantasia, se la gode nel suo eden virtuale di incoscienza.
La stronza.
Io l’ammazzo.
Le premo le dita sulla bocca e l’ammazzo. No, più forte. La lego e la scuoio, la strozzo, le sparo, l’annego, le rompo la terza vertebra cervicale.
Magari…
Non ne sarei mai capace.
Ammesso che sapessi trovarla la terza vertebra cervicale...
Sono un codardo.
Però…
Però potrei svegliarla e dirle tutto.
Svuotare il sacco.
Dirglielo finalmente che mi fa schifo che la odio.
Che tutti quei particolari intimi e deliziosi, tutti i segreti di quel corpo che volevo esplorare, frugare e conoscere a qualsiasi costo fino a poche ore fa, ora mi nauseano, me la fanno letteralmente odiare. Perché se non ci fosse la pena di doverla ancora considerare una donna… Una donna che è venuta a letto con me… forse…
Dico io ma chi glielo ha fatto fare?
Sono le quattro, sono passate tre ore dall’orgasmo (croce e delizia di questa serata, unica ricompensa delle precedenti e condanna delle ore successive). Sono passate cinque ore dal rientro a casa, otto dalla cena.
“ti offro su caffè, vieni su da me?”
“Va bene!”
Va bene un cazzo!
Ma dì di no, dì di no! Non lo sai che ti voglio scopare? Non lo sai che sono tutte scuse per portarti a letto? Per fare sesso e poi sentirmi un a merda? Eh? Non lo sai?
Sì. Sì che lo sai. E ci godi. Impazzisci all’idea di essere così bella da condizionarmi a chiedertelo : “ti offro un caffè, vieni su da me”!
Ma era tutto stabilito in partenza. Già. Quando ti vai a fare i capelli, le mani, le unghie dei piedi. Quando ti fai la ceretta e menti a te stessa dicendo che lo fai per te, per sentirti a posto… Non è vero! Era tutto preparato per me. Un tranello, la trappola, il formaggio nella gabbietta, il lazo in tensione, la tagliola pronta a scattare. E l’animale (io!) braccato, istigato, costretto dagli ormoni… A colpi di crema esfoliante, a chiedertelo: “ti offro un caffè…”.
E io che sono lurido. E non mi è neanche mai piaciuto il caffè!
Sono un lurido che non si controlla, che non riesce a trattenersi.
Perché sono un debole, un perdente cronico, una marionetta.
Ma questa volta è l’ultima, lo giuro davanti a dio, un voto solenne, una promessa al Papa, un bacio a Riina! Di ridurmi così non ne posso più.
Meglio distrarsi un attimo.
Cosa c’è sul comodino? Un libro? No, è una risma di fogli A4.
Bianchi.
Ah che bello il bianco.
Una meraviglia, il nulla, la purezza, l’innocenza, la storia ancora da scrivere.
Tutto da decidere.
…Si è mossa.
È sveglia? No dorme profondo . è snella pura e s’incastra alla perfezione con tutto quello che la circonda. E il viso?… Una ninfa. Una ninfa leggiadra incastonata nel bianco delle lenzuola.
Certo una ninfa con un tatuaggio tribale sopra il culo…
Sembra quasi che sorrida.
Ma, sorride davvero! Che fa, sfotte? Anche nella fase rem del sonno se la ride di me. Mi domina, mi umilia, mi sottomette.
Sto delirando.
Mi tocco la fronte sudaticcia, il petto, le spalle.
Non è male toccarsi.
Nel senso del prendere coscienza del proprio corpo. È piacevole, ti dà un senso di… di.. esistenza.
E se mi nascondessi?
Sì, scappo lontano, mi licenzio, prendo le mie cose e chi s’è visto s’è visto. Mi trasferisco in Romania e chi s’è visto s’è visto. Ciao a tutti.
Perché in Romania? Ah già i vampiri.
Ma quale fuga?!? Non ce la farò mai, è troppo da duri. Ci vogliono le palle. E io non ce l’ho. O per lo meno le uso per fare stronzate, come stasera.
E poi non c’è posto abbastanza lontano per scappare da se stessi.
Eppure una soluzione ci deve essere, qualcosa che ci tiri fuori dall’autocommiserazione, una via d’uscita, una soluzione finale, per non cascarci più.
Mi muovo.
Accavallo le gambe (quando si è nudi bisogna farlo con calma, con attenzione).
Mi tocco ancora una coscia. Il ginocchio.
Sì, ci deve essere una via d’uscita, una soluzione finale.
Mi accarezzo con amore il ginocchio, freddo, un po’ sudato.
In fondo è vero.
Non è male toccarsi.

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venerdì 9 febbraio 2007

L' angolo di mondo

Con un colpo d' anca a destra e uno a sinistra mi faccio spazio tra i miei pensieri.
La mia postazione è abbastanza sacrificata, ma, come si suol dire, piuttosto che niente è meglio piuttosto.
E poi ci sono momenti in cui, rannichiato dove sono, sono molto più comodo che laggiù, in strada.
E quindi parto.
La mia vita è un pò questa, un miscuglio di colori e improvvisazioni su un tema che corre da destra a sinistra, ma che si perde nell' aria.
Nel fade in della serata sono l' accompagnatore al tavolo, il maggiordomo gentile che fa accomodare l' ospite convincendolo di essere nel posto giusto al momento giusto.
Poi comincio a diventare uno dei miei tanti io.
La scalata verso la cima non è mai semplice, ma se con te hai lo skipass universale, accedere agli skilift della musica aiuta un pò.
Ecco, adesso sono là, una mano attaccata alla bandiera e l'altra appoggiata al fianco, nell' atto di rimirare il paesaggio.
Ora sono il giardiniere col suo prato, il faro che indica la strada, il reverendo con il suo gregge.
Guardami, ti salvo.
Ascoltami, ti lusingo.
Provami, e tutto ciò che sta fuori rimarrà solo un ronzìo di sottofondo, coperto dai colori della festa in un angolo di mondo che ancora non sono riuscito a decifrare.

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