martedì 30 gennaio 2007

La Margherita Sbagliata

Brera, romantica brera, con le sue rose dai petali profumati e freschi di rugiada, ed i suoi flash che immortalano momenti indimenticabili tra gli innamorati e non…

Ma spostandosi di soli pochi metri ci si trova in un altro scorcio interessante di milano: corso Como, dove ogni singolo sampietrino custodisce il segreto del passaggio di amici, di amiche, di studenti che bigiano la scuola, di fidanzati, di amanti e di ex-amati.

L’entusiasmo quella sera, mi teneva per mano, erano passati un paio d’anni dall’ultima volta che avevo calpestato quel cubetto di porfido che si trova proprio di fronte all’ingresso del ristorante che mi attendeva per una cenetta romantica.

Ma prima aperitivo.
Semplicemente per prolungare la serata, per aumentare le occasioni dei giochi di sguardi e di sorrisi.

L’happy hour si sa, non è solo sinonimo di ora felice, ma anche di bar affollati, di gente attratta nei pub dopo l’uscita dal lavoro.
“un negroni, grazie”
“anzi, uno sbagliato”

Non importa che si sappia che il negroni sbagliato sia nato negli anni 50 nel bar Basso di Milano, non importa sapere che la differenza è nei gradi alcolici gentilmente offerti dallo spumante Brut o dal Gin, al bancone si chiede “uno sbagliato” e si va sul sicuro.

Di sicuro, invece, quella fatidica sera è stato il mio imbarazzo nell’essermi sentita fuori dal tempo, la paesana che non conosce i termini più trendy….

Approdata al ristorante, la scelta ricade su una pizza ed è proprio in quell’istante che il destino ha scritto la mia punizione. Scopro che esiste la margherita sbagliata…..semplicemente scritta marghertia! E non ci crederete, ma ho dovuto eliminare il controllo ortografico per riuscire a scriverla!


Ma non è tutto!!!!
Non chiedi semplicemente una marghertia, con un viso intimidito un po’ perché te ne vergogni ad utilizzare un termine che per te, inusuale frequentatore di corso Como, non esisteva fino a due minuti prima che aprissi la lista, la cosa più bella o forse l’apice della vergogna, è stato scoprire che con aria del tutto disinvolta il cameriere dice “ah, una Napoli!”

Ma chi poteva immaginare che in pochi mesi le abitudini e soprattutto il modo di parlare nei salotti di Milano potessero cambiare?

Allora mi sono domandata, perché non tornarci?
Magari per un aperitivo di contrabbando….

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mercoledì 24 gennaio 2007

Una Zebra a pois? no, Una Leonessa in Lamé - 1a Parte -

Il Panorama della musica d’autore, italiana, vanta uno dei più visionari e variegati bestiari Mai visti in campo artistico. Dalla Tigre di Cremona, Per gli amici MINA, a MILVA, la Pantera di Goro, è tutto un susseguirsi di animali, miti e leggende, che farebbero venire gli incubi anche a Stephen King.

Zebre a Pois. Cobra, che non sono serpenti, ma pensieri frequenti (che diventano indecenti, quando vedo te, quando vedo teeeeee). Gente che rinasce cervo a primavera. (non riesco a pensare ad un risveglio più terrificante).

Lei non era da meno...

Come vuole il più consumato dei copioni, ero tornato! Ancora li, ancora una volta, sul luogo del delitto. Ma, eccezionalmente, infrasettimanalmente. Un martedì. Il martedì, per il Pelouche è una serata morta, Altrimenti che delitto sarebbe e, per di più ad un orario da educande, le nove di sera. Era talmente presto che i chiromanti sbadigliavano ancora cenando con brioche e cappuccino.

Questa volta i vetri non erano appannati In trasparenza , un’energica barista era tutta intenta a nettar bicchieri. Serissima. Una cowgirl over 50, coi capelli corti e biondi. Una camisa negra tutta frange e uno sguardo truce e sanguinario. Sembrava la sorella cattiva di Giuliano Gemma.

Si bloccò di colpo, con lo strofinaccio dentro il calice, doveva essersi accorta di me. La fissavo da un po’ e, di sicuro, aveva annusato la mia paura.

Chi esita, si sa, è già morto!

Con un po’ di coraggio mi lanciai verso la porta a vetri e... Prima sorpresa, porta scorrevole. La mia faccia a mo’ di decalcomania sul vetro immacolato. Venne ad aprire lei, con un’espressione esasperata sul viso, La scenetta patetica doveva averla impietosita o, più semplicemente la infastidiva che la mia abbronzatura extravergine le imbrattasse il vetro dell’ingresso. il Vetril costa e lascia gli aloni.

Ma, volete ridere? Le porte, in realtà, erano due, tipo banca, e la seconda, non era scorrevole.
ci sarei cascato un’altra volta. Sarei stato un’ora a cercare di farla scorrere come la prima. Iniziavo a domandarmi se, dietro tutti quei trabocchetti, non ci fosse un velato tentativo di far desistere gli avventori poco motivati. Oppure, quelli troppo ubirachi per consumare ancora qualcosa all’interno che non fosse, la già poca, pazienza della barista.

-ma pensa, non avevo mica capito che scorreva-

-già, già, me ne sono accorta, cosa bevi?-


Il Tanqueray occhieggiava nel suo verde bottiglia dalle mensoline, ma avevo già rischiato troppo per quella sera.

-una bella Birretta alla spina?-

-Solo in botiglia, Corona, Becks, Ceres.-


Le aveva elencate in rigoroso ordine di tasso alcolico crescente, sentii una goccia di sudore freddo solcarmi la fronte li mi giocavo il tutto per tutto.

-Vada per la Ceres-

Un ghigno di approvazione mi fece trarre un sospiro di sollievo. Mi presi la mia birra in bottiglia e sulle prime note de: “con il nastro rosa” di Lucio Battisiti vidi, per la prima volta,
La Leonessa in lamé.

Foto:


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domenica 14 gennaio 2007

Alcolico e Trasgressivo come... un Pelouche

Il primo incontro con la vita notturna milanese mi aveva un pò scosso. Avevo preso uno scivolone, da unbriaco, in fondo, non era una cosa, poi così indecorosa. Ma come ogni caduta, in una vita che si rispetti, ci si rialza, ed io barcollante, ero pronto a riprovarci.

Quindi, “ In the middle of Brera, Again” sempre di venerdì, a stortarsi le caviglie sul romantico ciotolato del Fu quartiere degli artisti. Il ciotolato è bello, decorativo, ma riesce a lussare articolazioni con una facilità spaventosa, ci sono quasi riuscito anche io, indossando delle misere “scarp de tenis” immaginate i voli acrobatici di meravigliosi esemplari di sesso femminile, inerpicati su tacchi a stiletto. Un autentico spettacolo circense.

Quando piove, poi, non vi dico.

Ad ogni modo non pioveva e superato il TRISTEZZA CLUB, dove avevo raschiato il fondo del barile la settimana prima, sono passato al locale successivo. Sotto a chi tocca. L’ingresso: Una porta a vetri, e poi?

Basta.

A parte una disumana quantità di gente all’interno, in un totale delirio. Davano l’idea di divertirsi un casino. I vetri della porta erano appannati come una filovia del della circonvallazione all’ora di punta il tutto con in sottofondo “isn’t she lovely” di Stewie Wonder.

Sembrava un girone Dantesco, condito in salsa anni "80, me ne stavo già innamorando.
Ma tutte le passioni repentine portano dubbi proporzionati all’intensità delle passioni stesse.
Ero pronto a tanta vita in una botta sola? Una scusa qualunque per mollare (temporaneamente) il colpo:

-Troppa gente.-

Come quando, sulla banchina della metropolitana, si rinuncia a salire su di un vagone troppo pieno, e lo si guarda mentre chiude le porte e riparte. Rimasi li un pò a fissarlo, ma a ripartire fui io. Prentendere che fosse il locale a muoversi sarebbe stato troppo.

Mentre mi allontanavo pensai al nome del locale: “Pelouche”. Chissà poi perchè proprio pelouche. L’unica immagine che si formò nella mia testa fu quella di un boa di pelo rosa schocking. Quella sera il pelo lo avevo perso, ma da buon lupo metropolitano avevo la certezza:
Il vizio, che da sempre mi accompagna, la curiosità, mi avrebbe riportato presto in loco per un doveroso sopralluogo.

Foto: bondidwhat


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giovedì 11 gennaio 2007

Dal "Posta" alla Porta

Contare i passi prima di raggiungere la meta, contare le ore che ci separano da un appuntamento, contare gli amici di cui ci si possa fidare… O semplicemente prendere un metro in mano e misurare le distanze del mondo! La distanza tra il marciapiede ed il mio piede, tra il clochard che sta dormendo e la ruota della macchina parcheggiata, tra la borsa e la cintura in pendant che si intravedono in una vetrina…

pazzia? Assolutamente no!

E’ una scelta di riferimenti fuori dall’ordinario. “Scusi, quanto manca all’arrivo della 90?” Banale domanda alla quale sicuramente le persone alla fermata del tram ti sanno dare risposta. “Scusi, mi sa dire la distanza tra me ed il pacchetto di lucky strike buttato a terra?” Questa è una domanda alla quale, se non venite presi per folli, non è facile trovare risposta.
E mi ci metto anch’io! Fino a qualche mese fa, l’unica misura certa era quella dei miei tacchi!!!

E’ stato come vivere le avventure di Alice nel paese delle meraviglie, un viaggio attraverso le vie della vecchia Milano in una dimensione alterata semplicemente dalle risate per la buona compagnia e dalla voglia di scoprire nuove misure!!!

Così, tra il mimare il simpatico omino verde e rosso dei semafori pedonali e la presa di coscienza di quanto sia la distanza tra il mio gomito ed il naso, mi sono ritrovata di fronte ad una porta che per fortuna non era proprio come quella descritta da Lewis Carroll, ed è bastato aprirla una volta soltanto, anzi due per la precisione, per rimanere travolta dalla musica, dalle parole cantate e soprattutto interpretate…

Foto: Memotions


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