mercoledì 8 luglio 2009

Affondo


Piange. È li seduto sul letto e piange.
Eppure fino a poche ore fa ci stavamo divertendo cosi tanto, come sempre, come tutte le altre volte.
É strano dirlo, ma mi fa male vederlo così. Abbattuto, disperato, vulnerabile. A dirla tutta ha un caratterino un po’ volubile, prima tutto un fuoco poi, il crollo. Non è la prima volta che si comporta così, in realtà è un’abitudine, una pessima abitudine. Almeno dal mio punto di vista lo è. Io sono più coerente, quando inizio in una maniera poi, continuò così, e anche adesso, dopo tutto, non mi sento diversa da prima.
Vorrei poter fare qualcosa, dire qualcosa, ma non posso, ci ho provato, non so quante volte ma lui niente non mi sente. Ecco, ora prende in mano quel crocefisso, quello che tiene appeso accanto al suo letto. Si mette la mano nei capelli e giù a singhiozzare di nuovo. Che strazio!
Ora vuole stare da solo, ma quando è con me è diverso, molto diverso, siamo fatti l’uno per l’altra, una coppia perfetta, si, di assassini. Anime gemelle criminali, unite da un inossidabile legame di sangue. In fondo mi ha creata lui, io prima non ero così, anzi, io prima non ero e basta. Sono venuta alla luce in un vicolo del centro di Milano. Un tetro pomeriggio d’autunno, partorita da una ferita sanguinante, tra le urla di dolore di una donna, culminate in una morte atroce e nemmeno troppo repentina. Sotto certi aspetti posso dire di aver causato la morte di mia madre. No, non sono i sensi di colpa di un’orfana alla quale hanno detto la verità dopo tanto tempo. Quella donna l’ho uccisa per davvero, insieme a lui, è morta per mano mia, anzi, a voler ben vedere è morta per mano sua, ma io c’entro, eccome se c’entro. Prima di quel giorno non ricordo nulla, solo un limbo freddo, dai riflessi azzurri. Un’apatia cristallina fatta di gesti ripetuti, la solita routine. Poi lui mi ha preso e mi ha dato una ragione di vita. Da quel momento è cambiato tutto.
Mi sono sempre domandata perchè le scegliesse così, tutte simili, tutte con quello sguardo saccente celato dagli occhiali da miope. Appesantite dagli anni, con la voce stridula e le mani ingioiellate. Sembrava avere un fiuto speciale per scovarle, ma quando ne trovava una lo capivo. Tornava a casa tutto agitato, girava e rigirava per la casa, con lo sguardo assente. Per giorni si dimenticava di dormire, di lavarsi, a volte persino di mangiare. La sua mente sembrava perennemente in fibrillazione e io lo sentivo. Sentivo le sue vibrazioni, la sua eccitazione eccitava anche me come un diapason accanto ad un altro. Tutto questo mi dava una certezza: Sapevo che presto lo avremmo fatto di nuovo, che presto mi sarei macchiata di nuovo di sangue, caldo, appiccicoso, vivo. Ti resta attaccato per giorni, settimane, per quanto ti lavi una sua parte rimane con te per sempre. Come quella piccola goccia, quasi puntiforme che ho sul collo e che mi fa quasi il solletico. Per lui invece credo sia diverso, dopo averlo fatto si spoglia completamente e passa ore nella doccia, quando ne esce sembra più distrutto di quando è entrato, e dopo un po’ comincia a piangere, come un bambino. A volte credo di essere più uomo di lui. Non provo questo genere di tristezza, di colpa. Ma ora che fa? Ha il telefono in mano, è la prima volta che lo vedo parlare con qualcuno, bofonchia qualche cosa, riappende e si sdraia sul letto, esausto, il volto rilassato.
Bussano alla porta, si alza, non capisco, sul suo viso non c’è più il tormento che aveva avuto finora, non ci sono più ombre. Quelli che entrano sono Carabinieri, cosa significa? Perchè li ha chiamati? Risponde serenamente alle domande del più alto in grado e poi mi indica. Ma brutto traditore che non sei altro, che fai ora? Dai la colpa a me? Io non ho colpe! Sei stato tu, sei sempre stato tu. Ok, lo ammetto, piaceva anche a me, ma, da sola, lo sai, non avrei mai potuto. Sento una sensazione nuova, credo sia paura. Uno degli uomini in divisa si avvicina a me con dei quanti bianchi di lattice sulle mani, mi solleva con due dita. Mi sento appesa tra la vita e la morte. Oddio no, non voglio finire in quel sacchetto di plastica, non voglio andare in prigione, noooooooo.

Verbale di arresto:

In data odierna, ricevevamo in centrale la telefonata del signor Mario Rossi, abitante in via dei Tigli 12. Il suddetto rivendicava la paternità di dodici omicidi avvenuti nell’ultimo anno ai danni di vittime di sesso femminile. Gli omicidi presentavano il medesimo modus operandi, ovvero morte per dissanguamento conseguente a ripetuti colpi d’arma bianca, dodici per la precisione. Le donne, tutte di età compresa fra i 48 e i 60 anni indossavano tutte occhiali dalla montatura rettangolare di colore scuro ritrovati in ognuno dei casi, calpestati accanto al cadavere. Le vittime venivano poi derubate per inscenare una rapina. In una conversazione col dottor Ficuzzi, psicologo forense, il Rossi spiegava così i suoi gesti:

“Sono nato e cresciuto in una famiglia molto cattolica, non sono mai stato un genio a scuola, spesso capitava che, interrogato dalla maestra, la signora Giovenchi, non fossi in grado di rispondere ad elementari domande di aritmetica o di italiano. Questo era dovuto ad una mia profonda timidezza, che mi bloccava e che veniva scambiata per ignoranza cronica. Ma io le risposte le sapevo, solo che, quando mi trovavo di fronte quella donna più grande, con quegli occhietti saccenti e quegli occhiali squadrati iniziavo a tremare come una foglia e ammutolivo. Quando poi sentivo la sua voce stridula mi estraniavo completamente e vedevo solo le pietre luccicanti degli anelli che portava. Rimanevo come ipnotizzato. Poi mi rispediva al posto. Mi ricordo, come se fosse ieri, quando mi interrogò sui dodici apostoli e io mi bloccai all’undicesimo. Mi chiamò infedele, indegno di Dio. A me, che facevo il chierichetto e andavo a catechismo tutte le settimane. Fu davvero troppo, quella volta svenni. Mia madre, quando le raccontai tutto, decise di farmi cambiare scuola. Nonostante questi inizi sono riuscito a diplomarmi in ragioneria andando poi a lavorare per diverse aziende.
Nell’ultima, la Guidobaldi Srl, ero impiegato da dodici anni come contabile, l’anno successivo sarei andato in pensione. Un giorno la titolare mi chiamò in ufficio. Nei conti dell’ultimo trimestre era emersa una discrepanza di dodici euro. Si rende conto? Dodici stupidissimi euro. Venni licenziato. Era chiaramente un pretesto, dovevano disfarsi di qualcuno che pesava troppo sui loro bilanci e venni sacrificato io. Ho cercato di giustificarmi, le ho chiesto un’altra possibilità, alla mia età non avrei più trovato nessun impiego. Non volle sentire ragioni mi chiamò persino traditore. Solo li mi resi conto di quanto assomigliasse schifosamente alla signora Giovenchi, stessi modi, stessi occhiali, stessa ostentazione di lusso alle mani. Mi montò una rabbia che l’avrei uccisa. Ma non ho fatto in tempo. A volte la vita è veramente beffarda, la settimana dopo un infarto ebbe ragione dei suoi sessant’anni di grasso e colesterolo.”
“Il dottor Ficuzzi, forse un po’ cinicamente, mi ha detto che non è stato un bene che fosse morta di morte naturale, infatti se l’avessi uccisa, probabilmente il mio trauma si sarebbe risolto e ora ci sarebbe un solo cadavere invece che dodici.
Forse ha ragione, ma io so solo che da quel giorno ho iniziato a rivedere la mia vecchia maestra in tutte quelle donne e insieme alla lama del mio coltello le ho uccise una per una. Mi sono fermato alla numero dodici, come il dodicesimo apostolo. Porco Giuda!”

Attualmente il signor Mario Rossi è detenuto nel carcere di San Vittore in attesa di giudizio. Non ha nominato nessun legale di fiducia, gli è stato quindi assegnato un avvocato d’ufficio. L’arma del delitto è stata identificata in un coltello da cucina di acciaio inossidabile dotato di una lama da 12 centimetri. Sul fondo della lama, a pochi millimetri dall’impugnatura, è stata rilevata una piccola goccia di sangue puntiforme. Da questa è stato possibile ricavare il DNA dell’ultima vittima permettendo di collegare così il Rossi agli omicidi.
Nonostante la perizia dei tecnici del nucleo scientifico, lo scrupoloso rispetto della catena di custodia e l’osservanza degli standard di sicurezza dell’ufficio reperti, attualmente tale arma risulta scomparsa.

Foto di jsilfen