domenica 2 marzo 2014

Se qualcuno sentisse l'improvvisa e irresistibile voglia cercarmi o di farmi dei complimenti per le baggianate che scrivo si senta libero di chiedermi l'amicizia su Facebook:

https://www.facebook.com/giuseppe.a.valerio

Io mi sentirò libero eventualmente di rifiutarvi.

giovedì 27 maggio 2010

Hai voluto fare l'investigatore informatico?


Come mi sia venuta questa idea ancora non lo so. Fin da piccolo ho sognato di fare l'investigatore privato ma poi crescendo si pensa a cose più pratiche.

Tipo l'informatica.

Che è pratica solo per chi la capisce, e io già la capisco poco.

Vivendo a Milano, la Milano che lavora, la Milano che: “fa e disfà l'è sempre laurà”, ero convinto di poter avere tutto e invece no. Se sei così pazzo da voler studiare una materia astrusa come la Computer Forensic (ovvero il pane quotidiano degli investigatori informatici) devi andare a Roma.

In fondo sei già fortunato. Perchè, dopotutto, tutte le strade portano a Roma, poteva andare peggio.

Corso che dura sei mesi ma le cui lezioni si tengono solo il venerdì e il sabato. Quindi sei mesi di frecce rosse, avvelenate dai ritardi e dalle lamentele di quelli che ci viaggiano sopra.

Alloggio.

Ho deciso di provare un bed & breakfast, ma su questo torneremo dopo.

Ovviamente appena mi sono iscritto al corso lontanissimo, lunghissimo e non proprio economico, ne hanno attivato uno intensivo di tre giorni a Milano, allo stesso prezzo. Anzi no, adesso che ci penso, avevo pure lo sconto.

Il classico investigatore torna a casa tardissimo anzi, all'alba. Dopo aver pedinato per ore o dopo essere stato fermo sotto la pioggia in attesa che una bionda platinata quanto infedele uscisse avvolta nella sua pelliccia di volpe dal portone dove era entrata quattro ore prima.

Si sa quanto alle bionde platinate piacciano le coccole.

Invece no, io alle 23 e 30 ero già a letto, dopo aver controllato tre volte la sveglia perché non volevo rischiare di perdere il treno mi sono addormentato di sasso sognando il mio posto sul Milano Roma no stop delle 9 e 30.

Ore 9 e 44, dopo varie imprecazioni contro la sveglia che non aveva suonato mi sono reso conto di non averla attivata io. Treno perso.

Una volta arrivato in stazione trafelato di sudore chiedo, col poco fiato rimasto, di salire sul Milano Napoli che sta per partire, la graziosa hostess mi dice che il biglietto che avevo fatto io era una super offerta speciale irripetibile e vantaggiosa e, sopratutto, non rimborsabile.

Se volevo salire su quel treno dovevo fare un altro biglietto.

E facciamolo!

Costa il doppio della super offerta irripetibile, che mi mancava già da morire.

Treno partito.

Da Milano a Piacenza un ora e mezza, record mondiale di lentezza.

Avverto il Bed and Breakfast.

-salve, arriverò con un po' di ritardo, quindi passo a fare il chek-in direttamente questa sera.-

-Ah, ok, va bene, ma non prima delle 20:00, perché prima lavoro, click.-


Prima lavora? Ma non lavoraval Bed & Brekfast?


Già li, se fossi stato un investigatore vero, avrei dovuto sentire una gran puzza di bruciato.

Arrivato a Roma con un ritardo smisurato, mi infilo in un taxi schivando frotte di abusivi.

Tutto tranquillo, mi scodella davanti all'università.


Cerco il custode.


-Salve, sto cercando il corso di Diritto penale dell'informatica.-

Il custode mi guarda con sguardo un po' ottuso ma divertito e replica con: “Habla espanol?”


-No, sono italiano. Il corso di informatica investigativa? la giornata inaugurale?-

-No, no, qui non c'è informatica.-


Chiamo l'organizzatore del corso, colpa mia, non avevo letto che era nella sede decentrata, per fortuna non troppo. Forse perché Roma ha un centro immenso e decentrato significa Fiumicino o Latina.

Chiedo all'altro custode, romano D.O.C. Che mi spiega con dovizia di particolari come raggiungere l'altra sede, ci si arriva a piedi. Per sicurezza a metà strada chiedo a tre vigili. Per l'esattezza due vigilesse e un vigile. Quando dico l'indirizzo le due vigilesse si guardano con fare interrogativo, per fortuna il maschio alfa è più pratico di toponomastica.

Un piccolo appunto sui numeri civici romani, il civico 95, potrebbe benissimo essere di fronte al 22, tanto che sulla strada che stavo percorrendo, mi sono chiesto se su di un senso di marcia fosse una via e sull'altro fosse una via diversa. Non solo ma l'83 era di fianco al 95. Bah.

Nonostante tutto arrivo con solo venti minuti di ritardo.

Tutto procede tranquillo fino a quando non devo andare finalmente al Bed & Brekfast, è presto, sono solo le sette meno un quarto, cazzeggio. Bighellono fino alle sette e qualcosa e mi infilo a mangiare in una trattoria, ordino primo e secondo sperando nella tipica flemma romana per tirare tardi. Il personale è tutto dello Sri Lanka, efficentissimo. Le porzioni che mi impediscono fisicamente di prendere anche il dolce.

Il caffè però faceva schifo, bisogna dirlo.

Le 20:00, l'ora della verità. Citofono al Bed & Breakfast, il nulla più assoluto.

Citofono ancora, voce femminile:

“Sii?”

“Buongiorno, sono quello che ha prenotato.” Silenzio

“Che ha prenotato cosa?”

“Ma non siete il Bed & Brekfast?”

“Ah, si, ma vede, la persona che se ne occupa non è ancora tornata, provi tra mezz'ora, click.”

Quando anche i citofoni fanno click, la puzza di bruciato diventa insopportabile.

Ma potrebbe andare peggio, e come? Potrebbe piovere.

Infatti aveva appena iniziato a piovere.

Per la mezz'ora successiva ho girato tutti i possibili altri alberghi della zona per informarmi sui prezzi e a sincerarmi che ci fosse la portineria di notte.

Dopo mezz'ora, finalmente sono riuscito ad entrare nel B&B. Mi apre la porta un signore sui cinquant'anni in calzamaglia nera. Il B&b di fatto è un appartamento, grosso, spazioso ma resta un appartamento.

Nella stanza dove mi fa entrare c'è la finestra aperta e odore di chiuso da far spavento, il letto è doppio, almeno quello.

“Sa, mi deve scusare, qui non si finisce mai, ora sto anche facendo i provini per uno spettacolo teatrale. Ora legga questo che poi le facciamo l'accoglienza.” mi rifila un foglietto ingiallito dal tempo e se ne va.

Le facciamo? Plurale maiestatis o c'è qualcun altro?

Saranno quelli dei provini?

Sei personaggi in cerca d'autore?

Dieci piccoli indiani? Tutti nella mia stanza? E no eh? E poi ho già mangiato da quelli dello Sri Lanka.


Leggo l'opuscolo polveroso con le condizioni per il soggiorno, solite cose. Resto li, aspettando Godot.

Arriva. Per fortuna da solo, si rilegge pure lui l'opuscolo, meglio non rischiare.

Terminiamo le pratiche burocratiche e mi fa vedere il resto, Non che ci sia molto altro.

“Il bagno è in comune” mi dice.

Lo sospettavo, spero solo che abbia una stanza tutta per lui, mica di trovarmelo a tradimento sotto il piumone.

Da solo in camera sono indeciso se mettermi a piangere o dormire vestito. Non che una cosa escluda l'altra. Dopo un po' mi faccio coraggio e vado in bagno a darmi una rinfrescata, anche perché l'acqua calda non c'è almeno non nel lavabo. Alle pareti tre foto di Totò e un inquietante collage 70 per 50 di foto ritagliate di Marilyn Monroe, un'altra bionda platinata.

Sopra il water un batik rappresentante un personaggio del teatro kabuki mi squadra serioso. Riesco a malapena a fare pipì e a lavarmi i denti.

Tornato in camera lo sento guidare istrionico una delle ragazze: “entrerai cosi, poi devi far vedere che sei triste, quindi buttati per terra, batti i pugni e rotola tra le quinte...” Li sento provare e riprovare e poi lo sento mentre la riaccompagna alla porta d'ingresso, è di fianco alla mia stanza.

Oggi sono io l'unico vero portiere di notte. La sento che saluta e, non so perché, ma sono convinto che sia biondo platino e con una pelliccia di volpe.

Piove, è tardi anzi è quasi l'alba e di sicuro in strada c'è un investigatore privato che aspetta da troppe ore.

Foto di: Grahm




mercoledì 8 luglio 2009

Affondo


Piange. È li seduto sul letto e piange.
Eppure fino a poche ore fa ci stavamo divertendo cosi tanto, come sempre, come tutte le altre volte.
É strano dirlo, ma mi fa male vederlo così. Abbattuto, disperato, vulnerabile. A dirla tutta ha un caratterino un po’ volubile, prima tutto un fuoco poi, il crollo. Non è la prima volta che si comporta così, in realtà è un’abitudine, una pessima abitudine. Almeno dal mio punto di vista lo è. Io sono più coerente, quando inizio in una maniera poi, continuò così, e anche adesso, dopo tutto, non mi sento diversa da prima.
Vorrei poter fare qualcosa, dire qualcosa, ma non posso, ci ho provato, non so quante volte ma lui niente non mi sente. Ecco, ora prende in mano quel crocefisso, quello che tiene appeso accanto al suo letto. Si mette la mano nei capelli e giù a singhiozzare di nuovo. Che strazio!
Ora vuole stare da solo, ma quando è con me è diverso, molto diverso, siamo fatti l’uno per l’altra, una coppia perfetta, si, di assassini. Anime gemelle criminali, unite da un inossidabile legame di sangue. In fondo mi ha creata lui, io prima non ero così, anzi, io prima non ero e basta. Sono venuta alla luce in un vicolo del centro di Milano. Un tetro pomeriggio d’autunno, partorita da una ferita sanguinante, tra le urla di dolore di una donna, culminate in una morte atroce e nemmeno troppo repentina. Sotto certi aspetti posso dire di aver causato la morte di mia madre. No, non sono i sensi di colpa di un’orfana alla quale hanno detto la verità dopo tanto tempo. Quella donna l’ho uccisa per davvero, insieme a lui, è morta per mano mia, anzi, a voler ben vedere è morta per mano sua, ma io c’entro, eccome se c’entro. Prima di quel giorno non ricordo nulla, solo un limbo freddo, dai riflessi azzurri. Un’apatia cristallina fatta di gesti ripetuti, la solita routine. Poi lui mi ha preso e mi ha dato una ragione di vita. Da quel momento è cambiato tutto.
Mi sono sempre domandata perchè le scegliesse così, tutte simili, tutte con quello sguardo saccente celato dagli occhiali da miope. Appesantite dagli anni, con la voce stridula e le mani ingioiellate. Sembrava avere un fiuto speciale per scovarle, ma quando ne trovava una lo capivo. Tornava a casa tutto agitato, girava e rigirava per la casa, con lo sguardo assente. Per giorni si dimenticava di dormire, di lavarsi, a volte persino di mangiare. La sua mente sembrava perennemente in fibrillazione e io lo sentivo. Sentivo le sue vibrazioni, la sua eccitazione eccitava anche me come un diapason accanto ad un altro. Tutto questo mi dava una certezza: Sapevo che presto lo avremmo fatto di nuovo, che presto mi sarei macchiata di nuovo di sangue, caldo, appiccicoso, vivo. Ti resta attaccato per giorni, settimane, per quanto ti lavi una sua parte rimane con te per sempre. Come quella piccola goccia, quasi puntiforme che ho sul collo e che mi fa quasi il solletico. Per lui invece credo sia diverso, dopo averlo fatto si spoglia completamente e passa ore nella doccia, quando ne esce sembra più distrutto di quando è entrato, e dopo un po’ comincia a piangere, come un bambino. A volte credo di essere più uomo di lui. Non provo questo genere di tristezza, di colpa. Ma ora che fa? Ha il telefono in mano, è la prima volta che lo vedo parlare con qualcuno, bofonchia qualche cosa, riappende e si sdraia sul letto, esausto, il volto rilassato.
Bussano alla porta, si alza, non capisco, sul suo viso non c’è più il tormento che aveva avuto finora, non ci sono più ombre. Quelli che entrano sono Carabinieri, cosa significa? Perchè li ha chiamati? Risponde serenamente alle domande del più alto in grado e poi mi indica. Ma brutto traditore che non sei altro, che fai ora? Dai la colpa a me? Io non ho colpe! Sei stato tu, sei sempre stato tu. Ok, lo ammetto, piaceva anche a me, ma, da sola, lo sai, non avrei mai potuto. Sento una sensazione nuova, credo sia paura. Uno degli uomini in divisa si avvicina a me con dei quanti bianchi di lattice sulle mani, mi solleva con due dita. Mi sento appesa tra la vita e la morte. Oddio no, non voglio finire in quel sacchetto di plastica, non voglio andare in prigione, noooooooo.

Verbale di arresto:

In data odierna, ricevevamo in centrale la telefonata del signor Mario Rossi, abitante in via dei Tigli 12. Il suddetto rivendicava la paternità di dodici omicidi avvenuti nell’ultimo anno ai danni di vittime di sesso femminile. Gli omicidi presentavano il medesimo modus operandi, ovvero morte per dissanguamento conseguente a ripetuti colpi d’arma bianca, dodici per la precisione. Le donne, tutte di età compresa fra i 48 e i 60 anni indossavano tutte occhiali dalla montatura rettangolare di colore scuro ritrovati in ognuno dei casi, calpestati accanto al cadavere. Le vittime venivano poi derubate per inscenare una rapina. In una conversazione col dottor Ficuzzi, psicologo forense, il Rossi spiegava così i suoi gesti:

“Sono nato e cresciuto in una famiglia molto cattolica, non sono mai stato un genio a scuola, spesso capitava che, interrogato dalla maestra, la signora Giovenchi, non fossi in grado di rispondere ad elementari domande di aritmetica o di italiano. Questo era dovuto ad una mia profonda timidezza, che mi bloccava e che veniva scambiata per ignoranza cronica. Ma io le risposte le sapevo, solo che, quando mi trovavo di fronte quella donna più grande, con quegli occhietti saccenti e quegli occhiali squadrati iniziavo a tremare come una foglia e ammutolivo. Quando poi sentivo la sua voce stridula mi estraniavo completamente e vedevo solo le pietre luccicanti degli anelli che portava. Rimanevo come ipnotizzato. Poi mi rispediva al posto. Mi ricordo, come se fosse ieri, quando mi interrogò sui dodici apostoli e io mi bloccai all’undicesimo. Mi chiamò infedele, indegno di Dio. A me, che facevo il chierichetto e andavo a catechismo tutte le settimane. Fu davvero troppo, quella volta svenni. Mia madre, quando le raccontai tutto, decise di farmi cambiare scuola. Nonostante questi inizi sono riuscito a diplomarmi in ragioneria andando poi a lavorare per diverse aziende.
Nell’ultima, la Guidobaldi Srl, ero impiegato da dodici anni come contabile, l’anno successivo sarei andato in pensione. Un giorno la titolare mi chiamò in ufficio. Nei conti dell’ultimo trimestre era emersa una discrepanza di dodici euro. Si rende conto? Dodici stupidissimi euro. Venni licenziato. Era chiaramente un pretesto, dovevano disfarsi di qualcuno che pesava troppo sui loro bilanci e venni sacrificato io. Ho cercato di giustificarmi, le ho chiesto un’altra possibilità, alla mia età non avrei più trovato nessun impiego. Non volle sentire ragioni mi chiamò persino traditore. Solo li mi resi conto di quanto assomigliasse schifosamente alla signora Giovenchi, stessi modi, stessi occhiali, stessa ostentazione di lusso alle mani. Mi montò una rabbia che l’avrei uccisa. Ma non ho fatto in tempo. A volte la vita è veramente beffarda, la settimana dopo un infarto ebbe ragione dei suoi sessant’anni di grasso e colesterolo.”
“Il dottor Ficuzzi, forse un po’ cinicamente, mi ha detto che non è stato un bene che fosse morta di morte naturale, infatti se l’avessi uccisa, probabilmente il mio trauma si sarebbe risolto e ora ci sarebbe un solo cadavere invece che dodici.
Forse ha ragione, ma io so solo che da quel giorno ho iniziato a rivedere la mia vecchia maestra in tutte quelle donne e insieme alla lama del mio coltello le ho uccise una per una. Mi sono fermato alla numero dodici, come il dodicesimo apostolo. Porco Giuda!”

Attualmente il signor Mario Rossi è detenuto nel carcere di San Vittore in attesa di giudizio. Non ha nominato nessun legale di fiducia, gli è stato quindi assegnato un avvocato d’ufficio. L’arma del delitto è stata identificata in un coltello da cucina di acciaio inossidabile dotato di una lama da 12 centimetri. Sul fondo della lama, a pochi millimetri dall’impugnatura, è stata rilevata una piccola goccia di sangue puntiforme. Da questa è stato possibile ricavare il DNA dell’ultima vittima permettendo di collegare così il Rossi agli omicidi.
Nonostante la perizia dei tecnici del nucleo scientifico, lo scrupoloso rispetto della catena di custodia e l’osservanza degli standard di sicurezza dell’ufficio reperti, attualmente tale arma risulta scomparsa.

Foto di jsilfen

martedì 24 marzo 2009

Per Te....chissà se mi guardi da lassù!


Lacrime dolci, quelle timide che quasi quasi non escono per
timore di bagnare le gote,
lacrime salate, quelle che si raccolgono con la punta
della lingua,
lacrime amare, quelle che bruciano la pelle...
Lacrime...
Sono piccole gocce dentro le quali vengono racchiuse
le emozioni che danno vita alle giornate.
Guardo la luna e mi commuovo,
peccando forse, di troppo sentimentalismo,
ed una lacrima si affaccia timida sul mondo,
la sento camminare su di me,
conserva tutte le parole non pronunciate,
tutte le immagini della mia vita che invece di
affievolirsi con il passare
del tempo, diventano sempre più nitide.
Ricordi, pensieri, delusioni, rimpianti....eppure un
delicato sorriso illumina il mio viso
perchè la piccola lacrima ha dissetato la mia anima
ricordandole che
è grazie ai ricordi se oggi posso raccontare le mie
esperienze,
è grazie ai pensieri più tristi se oggi conosco il
significato e l'importanza di un sorriso,
è grazie alle delusioni se oggi conosco i successi,
è grazie ai rimpianti se oggi vivo intensamente ogni
istante delle mie giornate.

Sono ancora una piccola studentessa che frequenta la
scuola della vita,
mi guardo attorno con entusiasmo, osservo quelli al
primo anno, quelli arrivati ormai all'ultimo, quelli
che senza libertà di scelta sono obbligati ad
abbandonarla.
Entro nell'aula ed il posto accanto al mio è
vuoto..."Dove sei?"
"Perchè non ti è stato permesso di varcare i cancelli
d'ingresso?"
"Perchè non mi hai lasciato il tempo di salutarti?"
"Perchè proprio te?"

Guardo la luna e mi commuovo, di nuovo, per il mio
eccessivo sentimentalismo,
ed una nuova piccola lacrima mi ricorda il tuo
nome....
Sei stato tu ad insegnarmi a sorridere nella
sofferenza,
a piangere nella gioia,
a disperare nella tranquillità e a tranquillizzarsi nella disperazione.
E ancora un sorriso...
perchè da oggi non sei più un
triste ricordo ma un pensiero felice!

giovedì 12 marzo 2009

IL PRANZO AL BUIO

Si è soliti sentire parlare di appuntamenti al buio:
incontri organizzati da amici per amici,
quegli incontri che nella totalità dei casi
si risolvono in lunghissime, estenuanti e tediose ore.
A me invece è capitato un pranzo al buio…

Di corsa a raggiungere un luogo che non ha nulla a che vedere col mio lavoro.
Il fenomeno, l’organizzatore dell’evento, è in fibrillazione
“dove sei?” “stai arrivando?”
“c’è un parcheggio libero sotto il mio ufficio se arrivi subito”
“sono in strada, quando arrivi mi vedi”

Ma che fretta c’è?
Si tratta solo di un pranzo.
Una volta giunta all’appuntamento entro nelle vesti della testimone di nozze:
aspettiamo che arrivi lo sposo che come da protocollo è sempre in ritardo.

Eccolo finalmente!!! Ma chi è??
Il solito avvocato che si atteggia a grand’uomo in carriera….
Il solito uomo in giacca e cravatta
-ah no, la cravatta non la porta perché fa più figo-
che non ha tempo di pranzare perché ha un appuntamento di lavoro,
quindi “ma sì prendo una coca e vi saluto”.
Ed io dovrei restare da sola col Fenomeno????

E’ seduto di fronte a me ed il suo sguardo mi cattura,
il suo sorriso è davvero allegro,
le sue mani sono meravigliose,
e poi….arrossisce!!!
Ed ecco che il destino gioca le sue carte:
in pochi secondi mi ritrovo a scrivere il suo numero di telefono
per poterlo incontrare più tardi!

Ma cosa sto facendo?

Forse ho semplicemente deciso di regalarmi un raggio di felicità,
un raggio che possa scaldarmi il cuore,
un raggio che possa farmi brillare l’anima.
Vorrei guardarmi allo specchio ed accorgermi di non essere sola,
che ciò che vedo non è il riflesso di un’illusione o della mia immaginazione,
che non si tratta di un’ombra che oscurerà la mia luce.

….ho colto quell’attimo che il fato mi ha regalato.
Non importa dove mi porterà, mi lascio cullare da questo brivido che ha il gusto del piacere, della gioia di vivere, del credere ad un uomo.
Ne sarà sempre, comunque, valsa la pena di viverlo…