venerdì 30 marzo 2007

La leonessa in lamè 2^a parte

Mentre me ne stavo li, appollaiato sul “poggiuolo” a guardare dalla mini balconata, mi resi conto di quanto piccolo fosse il locale, un loculo più che un locale, un vero ombelico di mondo con le pareti affrescate di un panorama ultravioletto. Un paesaggio notturno, così rassicurante da sembrare di stare a casa propria. Posto minuscolo, dalle pareti infinite. Un po’ come un pensiero, racchiuso dentro una scatola cranica. Si , si, si! Il cielo in una stanza! Scusate... Gino Paoli, me lo stà urlando nell’orecchio, poi sennò diventa permaloso. La leonessa ruggiva in tutto il suo fascino, lasciando tutte le altre bestie presenti in sala, a bocca aperta. Compreso il sottoscritto. Non avevo mai pensato alla possibilità di una cantante di pianobar, che suonasse anche, oltre a cantare, me le ero sempre immaginate diverse. Vestite di lamè, ok! Anche leonesse, si. Ma, sullo schermo gigante e privato della mia mente, erano sempre mollemente adagiate su di un pianoforte a coda nero, con il martini in una mano e il microfono nell’altra. Mentre il pianista, nero come il pianoforte, ondeggiava sorridente in uno smoking bianco. Bianco come i suoi denti. Invece no, lei era un tutt’uno con lo strumento e con noi, che la ascoltavamo rapiti. Cantando, sorrideva di bianco, anche senza ondeggiare. Anche senza essere nera. Un vero prodigio! 
“Con il nastro rosa” di Lucio Battisti, ha un testo che sembra cristallizzare esattamente il momento in cui ci si innamora. Quello SBAGLIATO. Quello dove QUELQUALCUNO è già con QUALCUNALTRO e ti convinci irremovibilmente che in effetti c’è qualcosa che non va. Di quanto basti poco, frasi sciocche, volgari doppi sensi, e, indipendentemente da come la pensi, ti ritrovi con la cassa sbagliata, a cercare freneticamente lo scontrino nelle tasche sperando che te la cambino e che la cassiera non debba correre a casa a guardare una stupida fiction. “Life isn’t fair” ovvero, la vita, si sa, gioca sporco, e se ne lava le mani, quindi, per quanto sporco sia il gioco, ne esce sempre pulita. Può permettersi i migliori avvocati. Mentre ero li, non ero ne QUEL QUALCUNO e ne QUALCUNALTRO, non ero NESSUNO ma a guardare nella folla non potevo far finta di non vedere la gran confusione di casse e di nastri che regnava. Finì la canzone, finì la ceres, la strada verso casa non era lunga così decisi di uscire. Nel fresco della sera mi resi conto di una cosa, di tornare a casa a mani vuote, senza nessun tipo di cassa sotto braccio. Se non altro, almeno quella sera, non avevo sbagliato ne la mia spesa ne la mia sposa.


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1 commento:

Anonimo ha detto...

Caro Peppo, ho pubblicato, ovviamente citandone la fonte, il tuo post relativo agli habitués.

Grazie ancora.
Mik