mercoledì 9 maggio 2007

Fumo Blu

Da quando è passata la legge antifumo nei locali pubblici, a Milano si respira meglio in un Night alla moda che alla fermata del Tram. Fuori ti uccidono le polveri sottili, dentro i superalcolici, ma vuoi mettere?Almeno te ne accorgi e in più sei tu a decidere del tuo destino. Una specie di eutanasia on the rocks. Al Pelouche, quel venerdì Alan, il proprietario, era riuscito, complice una fatele distrazione del PIANOMAN, ad impossessarsi del microfono senza fili, e aveva lanciato la sua personale playlist anni sessanta, cantandola a squarciagola. Qualcuno la gola gliela avrebbe squarciata volentieri, visto che ogni fine settimana era la stessa storia, le stesse canzoni, gli stessi commenti del cantante: “chissà se qualcuno si ricorda le parole di questa...” E chi se le scorda?!? Le avevano imparate a memoria persino le casse dell’impianto, che le avrebbero potute cantare da sole nel caso di una laringite fulminante. Tanto improvvisa quanto auguratagli da tutti. Il locale si era svuotato in un attimo, non che ci voglia molto, è già un buco. Tutti fuori ad accendersi reciprocamente la sigaretta del condannato alla vita, quella notturna. Perchè di giorno qualcuno lavora e mi domando come faccia. Di giorno, a mezzogiorno, che per gli uffici è l’una, nei bar servono panini, insalata e acqua minerale. Le noccioline te le devi portare da casa. I baristi le nascondono, senso di colpa da aperitivo, ma soffrono e si vede. All’ora di pranzo viene spillata solo virtù, a beneficio di possibili capoufficio e supervisori, che da un momento all’altro possono fare una comparsata in “Raggiungi un sottoposto a tavola”. Quindi mentre Alan torturava per l’ennesima volta “Tutto il resto è noia” di Franco Califano raggiunsi Tabacco fuori dalla porta con Bacco in una mano e una Venere nell’altra. Io non fumo, o meglio fumo la pipa, ma non in pubblico, sembrerei Bearzot, ma guardare questi gentiluomini fumare, viene quasi voglia anche a me. Sembra che fumino da sempre, da quando erano nella culla, con la bionda tra le dita , gesticolano, indicano, e il fumo sembra danzare una danza del ventre in dissolvenza. Ma tra tutti questi gentlemen, ne spiccava uno più degli altri. Riccioli imbiancati dall’età, baffo sottile e l’irriverenza di un bambino di otto anni. Se gli altri avevano la giacca, lui aveva la camicia coi gemelli. Se qualcuno gli parlava serio, di qualcosa, lui, serissimo, lo prendeva per il culo senza che nemmeno se ne accorgesse, facendolo sentire pure compreso. Quando si accese anche lui la sigaretta, non mi deluse. Tirata fuori da un lucidissimo portasigarette d’argento la picchiettò sul filtro (non ho mai capito a cosa serve ma è fantastico) e se la portò alla bocca, ma prima di accenderla l’accese ad una bella signora in cerca di fuoco, accanto a lui. Se fosse passata di li in quel momento una di quelle vecchie rompicoglioni che d’estate al mare, quando ero piccolo passavano davanti al mio ombrellone chiedendomi cosa avrei voluto fare da grande, col ditino, avrei indicato lui. Nessuno sapeva il suo nome, era conosciuto solo come Mr. P, un inarrivabile uomo di stile. Nel frattempo Alan, forse soppresso da Alex il pianista, o forse finalmente e definitivamente, si spera, afono, era uscito anche lui dal locale a fumarsi una sigaretta. L’esodo inverso gli regalò un’impagabile espressione tra lo stupore e l’ictus fulminante.



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