giovedì 31 maggio 2007

Non sparate sul Pianista

Non so chi abbia inventato il detto “il mattino ha l’oro in bocca”. Personalmente diffido di chi ha la tendenza a mettersi metalli pregiati sotto i denti. Di solito sono filibustieri o truffatori, che lo fanno per comprovarne l’autenticità. Erano le tre di notte, che poi sono anche le tre del mattino ed io, ero in piedi, si fa per dire, solo in virtù del fatto che me ne sarei andato a letto di li a poco. Alex, il pianista stava staccando.In tutti i sensi. Staccava cavi, staccava sequencer MIDI, Avrebbe gradito che gli staccassero anche l’assegno del suo compenso ma non era giorno di paga. Stava riponendo tutto il corredo di tecnoputtanate che si portava dietro per il suo show, compresa la lampada strobo de poche con cui aggiungeva un tocco psichedelico alle serate SettantaOttanta del Pelouche. Pianista e showman. Insomma, Un Pianoman. Nel Far West, la vera vitaccia, era quella dei pianisti di saloon, costretti da pianoforti senza coda, a dare le spalle a tutto il pubblico. Riuscivano a mantenere un sorriso alla Groucho Marx, con tanto di occhi sbarrati e sigaro, anche quando gli animi, scaldati da ampie dosi di whiskey e donne di malaffare, cominciavano a manifestare il loro disagio a colpi di pistola. Vi siete mai chiesti se sono più veloci le pallottole o le dita di un pianista? Quelli che l’hanno scoperto non sono più qui a raccontarlo. Ai tempi, o eri un pistolero e ti occupavi di vacche, (In tutti i sensi) o eri un pistola qualunque e lavoravi in un saloon. Dietro il bancone, dietro il pianoforte o nelle camere al piano di sopra, ma dovevi depilarti le gambe. Al bancone, ci si può sempre abbassare a cercare qualcosa fischiettando, mentre in aria fischiano i proiettili. In una camera, hai a che fare con un diverso genere di pistole che, male che vada, ti sparano in un occhio. Ma incollato a un piano, dove vai? Preghi e continui a cantare “Oh my darling Clementine”. Non puoi neanche incrociare le dita, altrimenti i diesis e i bemolle vanno a farsi benedire. Un mestiere da veri duri. Ai giorni nostri sarebbe come cantare bendati “oh mia bela madunina” nel quartiere scampia di Napoli durante un regolamento di conti della camorra. In un pianobar come il Pelouche, moderno saloon alla moda, il ruolo del pianista non aveva cessato di avere la sua dose di rischi. Alex era un metro e novanta di corpulenta musicalità, un monumento alla nobile arte dell’intrattenimento. Un gigante buono, che quando non suonava per lavoro, giocava a basket per diletto. La sua caratteristica? far sentire speciale il suo pubblico. Anche la più perfetta sconosciuta che metteva per la prima volta il suo tacco a spillo in quel buco infernale, diventava una protagonista. Merito delle sue battute, dei suoi flirt da palcoscenico, del suo charme da pirata gentiluomo. Quando suonava, però, aveva la spalle al muro, seduto in una nicchia che più che un palco sembrava un altare per sacrifici umani. Non il suo, si spera, perchè se avesse avuto un malore, i soccorsi, avrebbero fatto prima a demolire la parete che a estrarlo dal suo posto di combattimento. Almeno da li fronteggiava tutto e tutti e se avessero voluto sparargli avrebbero dovuto guardarlo negli occhi. Ma nei pianobar di Brera, le armi sono caricate a salve, nel senso di “salve, come sta? Posso offrirle un cubalibre con l’Avana7?” e al massimo si sparano balle, grosse finchè volete, ma che poi rotolano via a fine serata.
Tutta l’attrezzatura aveva trovato posto nelle rispettive custodie e io, ultimo ma non ultimo, mi stavo infilando la giacca per uscire.
“Peppo, se mi aspetti, esco anche io”
“ma certo, perchè no?”
“E andiamoooo”.

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